Ospitalità e Serotonina

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«Ciao cara. Il prossimo me lo puoi preparare entro il 15 Luglio e il tema deve essere sull’ospitalità.»

Toglimi una curiosità… ma gli argomenti che mi rifili, li tiri fuori dal cappello parlante di Hogwarts in versione Teresa Mannino o dai foglietti discount della Lidl paghi 3 prendi 1? Chiedo solo per prepararmi, perché se il prossimo argomento riguarda l’alopecia negli ungulati sotto stress, ho bisogno di uno psicoterapeuta.

Ah, lo sapevate che il termine ospite si applica sia a chi ospita sia a chi è ospitato?
Io lo scoprii nel 1981, grazie alla serie televisiva FantasyLand, dove un affascinante Ricardo Montalban salutava l’arrivo dei turisti della puntata con un meraviglioso «Sono il Signor Roarke, il vostro ospite. Benvenuti a Fantasilandia».  Alzata di bicchieri, sorrisini, musica d’effetto e cominciava l’episodio.

Adesso il termine ospitalità apre le sue braccia – non poteva essere diversamente – ad una accezione più professionale fino a raggiungere l’identificativo di una vera e propria industria, quella dell’Ospitalità.

E dentro ci trovi tutto: Alberghiero, Extra-alberghiero, AirBnB, Ristoranti, Trattorie, loculi vacanze, e persino il caldarrostaio che si piazza all’angolo di Corso Buones Aires. Si, sì, correttissimo, non sto discutendo su questo, è una vera e propria industria che comprende settori anche molto diversi tra loro. Il fil rouge è che sono tutti settori dedicati ad una sola cosa: l’accoglienza.

Prima della Bossi-Fini era anche un bel termine, specialmente per un paese di emigranti come il nostro. Oggi viene usato in modalità cinofallica, argomento preferito dei benaltristi – termine coniato per definire tutti coloro che durante una discussione spezzano il discorso dicendo «ma i problemi sono ben altri». Certo, i Pirati somali, la laurea in merendine scomposte e il reality show Malattie Imbarazzanti.

E visto che sono decisamente più agée della Bossi-Fini, anzi, appartengo alla generazione che è vissuta col Commodor 64 e sopravvissuta all’IPad, per me l’accoglienza resta la cordiale generosità nell’accogliere e trattare gli ospiti.

E no, non sto parlando del cioccolatino sul cuscino. Sto parlando della terminologia adeguata da utilizzare: buongiorno, buonasera, grazie, prego, arrivederci, per cortesia, si potrebbe…
Diamine, uso per favore anche con mio padre se gli devo chiedere di passarmi il sale… esattamente come fa lui con me. Lo so che sembra una ramanzina sull’educazione, ma qui vi sbagliate.

Sono potentissime armi di persuasione.

Seguitemi per un attimo: conosciamo tutti la definizione di persuasione, ovvero condizionare gli altri per raggiungere i propri scopi. La persuasione prevede quindi che vi sia un certo livello di potere. Ma il potere è a tutti gli effetti una relazione – l’altro ha potere su di me solo se io glielo concedo – e come tutte le relazioni si basano anche sulla comunicazione.

Utilizzando termini che qualcuno ha definito desueti, quelli che ho citato prima per intenderci, poniamo l’altro nella posizione di sentire utile. Sensazione che, come sotteso, fa scattare il convincimento di essere riconosciuti dall’altro come una persona che ha un valore. Lo so, voi avete un obiettivo, ma l’altro NON LO SA!

Essere riconosciuti fa scattare nel nostro cervello la produzione di serotonina, che fa parte di un gruppo di neurotrasmettitori che hanno lo scopo di guidare il nostro comportamento verso il nostro migliore interesse (gli altri sono le endorfine, la dopamina e l’ossitocina, quella che io preferisco, magari metterò il bigliettino nel cappello parlante per il prossimo articolo).

Insomma, sentirsi riconosciuti dall’altro fa produrre al nostro cervello (e non solo) quello che al bar chiamiamo l’ormone del buonumore, la serotonina; e tutti sanno che quando sei di buon umore sei molto disponibile a fornire ciò che l’altro ti sta chiedendo.

Ci sono solo due piccolissimi ma… (questa volta si esagera, ma stiamo parlando di processi cognitivi ed emozionali, mica del principio di indeterminazione di Heisenberg).

Il primo è che il senso di riconoscimento può essere ingannato. I social, i like, i follower, l’atteggiamento isterico del cellulare in mano per vedere quanti like/follower ho sul post, come, dove, quando, perché mi hanno messo like, panico, depressione etc.… (il male del secolo? No, non è lo strumento il male, ma l’impreparazione delle generazioni). E questo è il motivo per cui stiamo parlando di persuasione.

Il secondo è che l’effetto della serotonina è proporzionale al livello di utilità (mi passi il sale, direi 4 picosecondi, consegna dell’attestato di laurea direi che molto dipende dal tasso alcolemico del dopo festa), e, quindi limitato nel tempo! (OMG Icon)

Questo vuol dire che se usi quelle parole desuete di cui sopra una sola volta nella tua vita, la tua potenzialità di persuasione è paragonabile alla vita media di un sacchetto dell’umido. Integrandoli invece in modo continuativo, con la perseveranza con cui ti abboffi di pillole  PanciaPiatta o AddominaliallaThor, magari potrai portarti a casa, oltre ad un sorriso, anche una chiara idea del dove cominci l’Ospitalità.

Ad ogni modo, se mettete un like all’articolo vi ringrazio, se non lo fate, vi ringrazio lo stesso, se lo condividete ve ne sarò grata, se non lo condividete… tanto so dove abitate, mi piazzerò come ospite a casa vostra.

Scherzo, naturalmente…

…ma non più di tanto.

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