La libertà di essere minchioni

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«… ma nessuno di noi avvocati si sognerebbe di impostare una difesa per rapina così come si imposta un processo per violenza carnale. Nessuno degli avvocati direbbe, nel caso di 4 rapinatori che con la violenza entrano in una gioielleria e portano via le gioie, beni patrimoniali, sicuri da difendere.
Bene, nessun avvocato si sognerebbe di cominciare la difesa, che comincia attraverso i primi suggerimenti dati agli imputati di dire, vabbè, dite però che il gioielliere ha un passato poco chiaro, dite che in fondo, ha commesso reato di ricettazione, che è un usuraio che specula, che evade le tasse.
Ecco nessuno si sognerebbe di fare una difesa di questo genere, infangando la parte lesa soltanto

Era il 1978. Aprile. Questo che ho riportato è l’arringa iniziale dell’avvocato difensore di una vittima per stupro, l’Avvocato Tina Lagostena Bassi, tratto dal documentario «Processo per stupro». Cercatelo online. E guardatelo.

E penso alla questione Grillo, padre e figlio, solo perché è l’ultimo di una serie. E sapete che il cervello si ricorda meglio le ultime informazioni alle quali è stato esposto. Grillo è forse stata l’ultima goccia che ha fatto traboccare il mio personale vaso, già pieno di una sfilza di emerite masse fecali solide.
E il suo messaggio è carico di elementi sconvolgenti, il più grave di tutti è quello che fa emergere la stessa concezione della donna come oggetto, con quel non detto ma quasi, «… il pomeriggio fa kitesurf e denuncia dopo 8 giorni è strano…».

Siamo tornati ai lupanari? Età postribolare? Peggio.

Perché ho letto tra i vari commenti l’utilizzo continuo del termine “animali”.

Beh, se fossero animali, questo non sarebbe mai successo.
Perché gli animali sono codificati dagli istinti, ovvero da risposte rigide ad uno stimolo (esempio: se faccio vedere una bistecca ad una mucca non la percepisce come cibo e nemmeno come un suo parente; se invece le faccio vedere un covone di fieno, lo percepisce come cibo: risposta rigida).
Gli istinti sono un codice per cui la gazzella appena nata sa esattamente quello che deve fare. L’essere umano purtroppo non lo sa. L’essere umano è l’unico animale indeterminato perché non è codificato degli istinti.

E per questo ha bisogno di educazione. Necessaria per acquisire quei codici. Gradatamente, certo, ma di solito i codici fondanti vengono acquisiti fino ai 15 anni.

«L’essere umano non ha istinti e continuiamo a volerci definire “animali ragionevoli” quando dell’animale ci manca l’essenza. Noi al massimo abbiamo delle pulsioni, che sono spinte a meta generica, indeterminata». Così recita il Professor Umberto Galimberti. «Trovandosi allora in uno stato disarmonico con la natura, gli uomini hanno dovuto darsi delle regole per poter convivere.
Le prime regole furono i Miti, ovvero dei racconti che descrivono gli esiti di una certa situazione, siano essi positivi o negativi. Sono quindi delle meta-storie in cui l’individuo sceglie il suo percorso.
I miti sono poi stati concretati nei riti, parola di origine sanscrita che significa ordine. Rito significa un elenco dettagliato delle cose che PUOI FARE e delle cose che NON DEVI FARE

Miti, riti e poi? Codici istituzionali. Perché gli esseri umani hanno costruito le Istituzioni?

Perché non avendo istinti non hanno regole di comportamento. E le istituzioni sono il tentativo (più o meno fallito) di fornire questi codici di comportamento per la convivenza tra gli individui.
L’essere umano è l’unica specie che si è dovuta auto codificare per poter convivere (e da qui nasce la politica, dal greco πολλά – pollà che significa molti).

La categoria della necessità regola la natura. Quindi l’uomo è pericolosamente libero perché non ha istinti. Ma se sei libero, sei anche responsabile e se sei responsabile sei punibile. Pertanto ciò che interessa è che io ti possa punire se trasgredisci. Ma per poterti punire devo ritenerti responsabile delle tue azioni e per ritenerti responsabile delle tue azioni ti devo ritenere libero.

Se ci fate caso è il fondamento di tutto il sistema giuridico europeo che ti giudica a partire dalla intenzione della tua azione. Questo presupponendo che la tua intenzione sia decisa dalla tua deliberazione cioè dalla tua libertà di muoverti in un modo piuttosto che in un altro.

Una grande impresa che oggi non serve più a niente perché nell’era della Tecnica non è più interessante scoprire l’intenzione… ma conoscerne gli effetti.
Le azioni vanno considerate non in base alle intenzioni con cui vengono prodotte ma in base ai loro effetti.

Ed ecco che entra in gioco il concetto di responsabilità. No, non quella di cui vi siete tutti fatti un’idea. Parlo dell’etica della responsabilità di Weber. Senza assumere princìpi assoluti, l’etica della responsabilità agisce tenendo sempre presenti le conseguenze del suo agire: è proprio guardando a tali conseguenze che essa agisce.

«Ma io sono libero di fare ciò che voglio!».

Ma allora non hai capito. Tu hai in testa l’idea di libertà, ma la libertà non esiste. Ti stai muovendo all’interno di istituzioni, di riti che ti dicono cosa puoi fare e cosa NON DEVI FARE.

E lo sai maledizione, lo sai!

Dimostrami di credere che forzare qualcuno ad un atto sessuale rientri tra le cose che puoi fare. O forzare chiunque a fare una cosa che non vuole fare. Trovami l’articolo del Codice Civile. O del Codice di procedura penale. Trovami un Regolamento Europeo, un articolo, un asterisco in fondo alla pagina della ricetta della torta di mele della nonna.

L’assenza di limiti è il problema di ogni essere vivente che si autodetermina. E non importa quale sia il genere, di che colore ha la pelle, credo, religione, orientamento politico o chissà cos’altro. Nell’autodeterminarci abbiamo perso il senso di appartenenza, quella collettività che permette agli animali di essere armonici con la natura. Ci fregiamo di essere plastici e quindi superiori, ma di superiore abbiamo solo la nostra assoluta incapacità di agire tenendo presente le conseguenze verso l’altro.

Abbiamo perso l’identità, ma facciamoci un gran plauso: siamo liberi di essere dei minchioni.

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